sabato 10 aprile 2010

La Cina è vicina, ma la Fiat di più

Scontro fra titani ieri al convegno di Confindustria di Parma, dove l’Amministrato delegato Fiat Marchionne, solitamente abbastanza sobrio e morigerato (a parole, si intende; nelle chiusura di stabilimenti e nelle delocalizzazioni è sempre stato molto più estroverso) questa volta si è letteralmente scatenato, complice la presenza del leader CGIl Epifani. Per farla breve, Marchionne ha sostenuto che l’Italia deve diventare come la Cina, e avere come punto di riferimento la vertiginosa crescita economica del colosso asiatico, stimabile nel 9,5% all’anno. "L'industria ha l'obbligo di cercare tutte le condizioni per competere, ma i sindacati invece di ripetere le stesse cantilene - qui l'ovazione dei presenti - devono diventare parte della soluzione", cioè dovrebbero accettare supinamente il massacro dei diritti dei lavoratori; e quando Epifani ha blandamente ricordato che la crescita della Cina si deve per lo più a un regime dittatoriale che impone condizioni sul lavoro praticamente schiavistiche, Marchionne ha ironizzato: "Mi fa piacere che si preoccupi della qualità della vita in Cina". Purtroppo ha parlato con tono molto meno scherzoso quando ha annunciato la chiusura della stabilimento di Termini Imerese a fine 2011.
Nonostante le bestialità affermate, l’AD Fiat è sicuramente uscito vincitore dallo scontro con Epifani, perché è riuscito a far apparire il sindacato come una palla al piede per il paese: eppure sarebbe bastato davvero poco per ribaltare la situazione e irridere le concezioni del grande industriale.
Innanzitutto si poteva chiedere qual è il senso della crescita per la crescita, interrogarsi sul motivo per cui gli italiani dovrebbero rinunciare a gran parte del loro benessere per aumentare la produzione di chissà quali prodotti, magari altri milioni di porcherie a basso costo da aggiungersi a quelle che già inondano i nostri mercati? Dovrebbero accettare condizioni ecologiche e ambientali (oltre a quelle salariali) al limite della sopravvivenza, come accade in gran parte della Cina? Per fare un piacere al fatturato della Fiat?
Ci sarebbe stato però un argomento che avrebbe spiazzato per sempre Marchionne e tutti i soloni della crescita economica: sono i cinesi stessi a consigliare di non seguire il proprio modello, e non si tratta di gruppi dissidenti di opposizione, ma delle massime autorità del regime, e non da oggi. Nel 2007 il primo ministro Wen Jiabao nella sua relazione all’Assemblea Nazionale del Popolo esprimeva il forte timore di una ‘esplosione’ della Cina, e metteva in guardia sulla necessità di vincolare l’incremento del PIL all’8%, soglia oltre la quale avrebbe significato sprecare soldi ed energie in progetti inutili e sconsiderati, a forte rischio di impatto ambientale. Per finire, Wen Jiabao si dimostrava preoccupato sul fatto che la crescita eccessiva potesse danneggiare ‘l’armonia sociale’, e questo in una nazione dove è possibile rispondere alle contestazioni in modi sicuramente molto poco ‘armonici’. (il rapporto è consultabile da varie fonti sul Web). Se quindi dobbiamo dare retta al loro stesso primo ministro, la Cina del 2010 ha disatteso l’imperativo categorico di contenere la crescita, e grossi guai sono all’orizzonte, che però toccheranno l’intero pianeta, incapace di contenere le manie di grandezza della Cina.
Contagiato dal delirio comico di Marchionne, ci ha pensato Colaninno a chiudere degnamente la serata tra l’ilarità generale della platea degli industriali: "In Cina dovremo esportare Epifani". Non sarebbe una cattiva idea farlo accompagnare da certi industriali sempre pronti a reclamare aiuti (di stato) per se stessi e sacrifici per gli altri.

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