mercoledì 8 agosto 2012

Puglia, l'acciaio o la vita

Penso che Karl Marx non si sarebbe mai neanche lontanamente sognato che l'alienazione operaia arrivasse fino al punto da rivendicare il diritto al tumore per non morire di fame. Ho anche però seri dubbi che Marx, fautore dello sviluppo delle forze produttive fino alla contraddizione finale capitale-lavoro, avrebbe ammirato un progetto faraonico come quello dell'ILVA di Taranto. L'ILVA di Taranto - giustamente chiamata da alcuni una 'Seveso a scoppia ritardato' - è una cattedrale industriale simbolo del boom economico che ha rappresentato un decisivo mutamento antropologico più ancora che economico della società italiana; e non sorprende la difesa accanita da parte dei sindacati confederali contro ogni evidenza, perché rappresentano quella sinistra (o forse tutta la sinistra?) ancora prigioniera del miraggio socialdemocratico-keynesiano che non può tornare in auge neppure con la crisi conclamata del paradigma neoliberale, con buona pace di anime belle come Krugman e Stiglitz. Oggi bisogna ripensare un'economia nuova, legata al territorio, dove al posto della fabbrica-leviatano possano sorgere tante imprese più piccole e legate a quell'attività agricola che l'ILVA avrebbe dovuto rendere obsoleta; dove siano valorizzati i porti, il turismo e la cultura. Un'economia forse non particolarmente potente, ma che almeno sia foriera di vita e non di morte.

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