Può sembrare assurdo e immorale paragonare le bombe israeliana su Gaza con le manganellate e i lacrimogeni della Polizia italiana sugli studenti, ma forse non è poi troppo azzardato, ovviamente riscontrando le dovute differenze. Israele bombarda un popolo di non cittadini che vivono in una situazione di colonizzazione, nell'altro caso la polizia attenta all'incolumità dei suoi stessi giovani. Nel primo caso c'è uno stato che può usare come giustificazione lo "stato di perenne emergenza" per ottenere obbedienza dalla sua popolazione, creando una situazione dove diventa normale scrivere sui quotidiani (si vada a vedere il Jerusalem Post di questa settimana) che Gaza ha bisogno di un bombardamento a tappeto in stile Hiroshima, senza destare particolari sussulti di indignazione. Nel secondo caso invece c'è uno stato che deve cercarsi una legittimità e che, dopo averla cercata nella lotta agli immigrati e in altri deliri xenofobi nell'era Bossi-Berlusconi, non riesce a trovarla in impegni di alto valore morale come l'austerità e la lotta al debito. Sarebbe molto più facile per uno stato come l'Italia, dove le istituzioni perdono ogni giorno i residui barlumi di credibilità, ottenere la tanto agognata "unità nazionale", glorificata dal presidente Napolitano, se ci fosse una minaccia terroristica in stile Hamas da cui difendersi.
In fondo che cosa resta a uno stato una volta che rinuncia alla sua funzione di garante di diritti universali, come fa a giustificare la sua posizione di superiorità e privilegio sui cittadini? Quali nuovi 'sicurezze' dovrebbe garantire ai suoi cittadini?
Secondo molti politici machiavellici, sicuramente lo stato di Israele si trova sicuramente in una posizione di vantaggio - almeno per ora.
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