Sembra che le ultime parole di Chavez siano state "non voglio morire", grido disperato delle persone 'qualunque'. E Chavez, qualunque idea si possa avere su di lui, non è stato certamenta una persona 'qualunque'.
Alla fine degli anni Novanta, quando per intenderci Hardt e Negri parlavano di 'impero' e si vaneggiava di 'nuovo secolo americano', il presidente venezuelano è stata la prima spina nel fianco del Washigton Consensus, il vero iniziatore del divorzio del Sudamerica dagli USA proseguitio con Morales, Correa e i coniugi Kichner. Sopravvissuto a un colpo di stato e più in generale ai continui tentativi di scalzarlo, forse rappresenta la massima espressione di quella parola oggi di moda per denigrare chi non si piega alla dittatura economica, ovvero 'populismo'. Chavez era riuscito a instaurare un legame particolarissimo con il proprio popolo, dietro la bandiera del socialismo bolivariano aveva costruito uno strano culto della personalità latinoamericano, riuscendo laddove avevano fallito grandi personalità della storia come Robespierre. Non è stato un limpido esempio di democrazia, ma non è stato neppure un tiranno nel senso machiavellico del termine, di governante che usa il potere solo per scopi personali; come il Principe ha raffozato se stesso e lo Stato, certamente usando meno mezzi violenti di quelli consigliati dallo scrittore fiorentino, anche se ha fatto di tutto per far coincidere l'interesse venezuelano con il proprio, un ideale che in Italia è stato incarnato ovviamente solo a parole da Silvio Berlusconi.
Molti si chiedono se la 'diversità' venezuelana sopravviverà al suo leader, e direi che questo sarà un ottimo banco di prova per un giudizio storico nei suoi confronti: in caso negativo, si potrà dire che ha anteposto il suo utile personale al bene del popolo venezuelano. In caso contrario, bisognerà tributargli rispetto, qualunque opinione si abbia di lui.
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