Berlusconi è notoriamente un artista della smentita e della contraddizione, eppure, per una volta, riferendosi alla delocalizzazione FIAT in Serbia, potrebbe essere stato sincero: "In una libera economia ed in un libero stato un gruppo industriale è libero di collocare dove è più conveniente la propria produzione. Mi auguro però che questo non accada a scapito dell'Italia e degli addetti a cui la Fiat offre il lavoro".
Vedremo se saranno altrettanto onesti i giornalisti che dovranno commentare questo breve sproloquio logico, se lo presenteranno come una perla di saggezza.
Le delocalizzazioni nuociono sempre alla nazione di origine dell'azienda, quindi non si capisce come il trasferimento della produzione in Serbia o altrove non possa non danneggiare l'Italia: ciò è abbastanza ovvio. Meno ovvi invece sono i miliardi di euro spesi tra incentivi e cassa integrazione per sostenere l'azienda del Lingotto, almeno in "una libera economia ed in un libero stato", ma questo il Premier non lo dice.
Chi ama parlare invece è Marchionne, prontamente spalleggiato dal segretario CISL Bonanni: "I lavoratori della Fiat devono stare in guardia rispetto a tutti coloro che sanno solo speculare sulle vicende sindacali, creando confusione e preoccupazione nelle fabbriche e nel Paese", dichiarazione in risposta alle proteste della FIOM. L'AD FIAT nei giorni scorsi aveva parlato di "sindacato non serio": aveva ragione, nessuna delle sigle delle associazioni di lavoratori ha seriamente capito la posta in gioco, che non sono solo posti di lavoro o l''italianità' di un'impresa; si tratta di capire quanto il nostro stato sia ancora 'libero' come lo intende Berlusconi.
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