Premessa importante: Marco Ponti, professore ordinario di Economia applicata del Politecnico di Milano, con la sua competenza tecnica rimane un punto fermo imprescindibile del movimento No-Tav. Tuttavia, a giudicare dal tono del post Tav, il paradosso dell’opposizione locale pubblicato sul suo blog de Il Fatto Quotidiano, si direbbe che l'anima del tecnico abbia avuto la meglio sulla passione civile del cittadino. A parte le comprensibili dissociazioni dalle proteste contro il procuratore capo di Torino Caselli, la vicinanza con i No-Tav sta risvegliando l'anima tecnocratica, anche se bisogna riconoscere che Ponti si è sempre distinto per una critica esclusivamente di carattere tecnico e mai concettuale. Vediamo alcuni estratti del post:
"Immaginiamo che un’opera sia utile davvero al Paese (ce ne sono molte, grandi e piccole). Ovviamente qualsiasi opera disturba qualcuno, e spesso ne disturba molti. Può “tagliar fuori” attività economiche locali. Può danneggiare attività agricole. Può dare problemi per lo smaltimento dei materiali di scavo. Il cantiere può essere rumoroso o generare polveri o congestione stradale.
Questi danni devono essere minimizzati e adeguatamente compensati. Ma se l’opera è utile bisogna farla, altrimenti le resistenze locali suonerebbero come una manifestazione di egoismo localistico (la sindrome NIMBY, cioè “non nel mio cortile”)...
Quindi lo stato non può rispondere bloccando un’opera utile al paese a causa di proteste locali: si creerebbe un precedente devastante, con rischio concreto di fare esplodere i costi a carico della collettività per compensazioni immotivate, o di non fare più nulla".
Il linguaggio di Ponti, con il ricorso al famigerato acronimo NIMBY, è del tutto simile a quello dei colleghi pro-TAV e ugualmente vuoto.
Innanzitutto, quand'è che un'opera si puè definire 'utile al paese'? Quando permette di aumentare gli scambi commerciali di merci non meglio precisate? Di incrementare il PIL e temporaneamente l'occupazione? Tutto questo malgrado la devastazione ambientale? Ponti non ha fornito dei criteri di utilità, dandoli per implici e autoevidenti.
"Il paradosso è che la Torino-Lione è scarsamente utile, quindi le proteste sono ben motivate. Ma lo stato rischia di creare un precedente. Tanto per chiarire, si rischierebbe di passare da NIMBY (“Not In My Backyard”) a BANANA (Build Absolutely Nothing Absolutely Nowhere Anytime, cioè “non si costruisca assolutamente nulla, mai, e in nessun posto”)".
Sembrerebbe quasi che Ponti, alla fin fine, preferisca la costruzione della TAV al rischio di creare un pericoloso precedente per l'effetto BANANA. Ma perché una persona intelligente come Ponti non riflette sul perché le popolazioni assumono certi atteggiamenti? Possibile siano guidate solo dall'egoismo?
Dopo la seconda guerra mondiale, nel periodo del boom economico, le popolazioni facevo a gara nel chiedere la costruzione di infrastrutture, anche altamente impattanti, sul proprio territorio: ma quello stato, in nome del quale Ponti verrebbero fatti i sacrifici, all'epoca non si limitava a compensazioni economiche. Era uno stato che, con tutti i suoi limiti, favoriva il progresso sociale ed economico. Per cosa bisognerebbe sacrificarsi oggi? Per l'austerità e il pareggio di bilancio Per la flexsecurity e la fine dell'art.18? Per le lacrime della Fornero?
Per tutte quelle classi agiate che, in nome del 'non si tocchino le mie rendite di posizione' (purtroppo non si riesce a tirare fuori un bel acronimo) impongono lacrime e sangue a chi sta peggio? Da quale parte sta allora l'egoismo?
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