Il 'politically correct' è una terribile gabbia intellettuale che di fatto ammazza la politica e qualsiasi in dialettica in genere. Nato per nobili ragioni, è stato abilmente trasfigurato in un arma per zittire i propri avversari e ignorare in toto quanto avevano da dire solo per una parola o un'espressione infelice; i mass media sono i campioni di questa censura culturale, ed è stata un'abile stratagemma da impiegare contro persone 'scomode' ad esempio come Beppe Grillo, le quali per altro sono sempre abbastanza tonte da ricadere in questo tranello. Non c'è comunque nulla di peggio della censura che si ammanta di idealismo.
Tuttavia, ancora peggiore del politically correct è la scorrettezza politica a prescindere, quella che molte realtà dichiaratamente 'ribelli' e 'dissidenti' stanno utilizzando in questi giorni per difendere le affermazioni razziste contro la Kwenge o le minacce a Mara Carfagna non tanto perché le si condivide, quanto perché è un dovere parlare sempre a rovescio del 'potere'.
E' vero, il grado di strumentalizzazione è enorme, ma la denuncia di questa strumentalizzazione non può risolversi in una legittimazione di chi accusa insensatamente sul piano personale. Per altro la pochezza intellettuale della Carfagna o Kwenge è tale che non serve davvero insistere polemiche insensate e irrispettose.
La verità purtroppo è che molti 'dissidenti' e 'ribelli' hanno fatto propria la lezione di Berlusconi di parlare 'pane al pane vino al vino', sul fatto che gli uomini 'veri' non hanno rispetto per niente e nessuno. A queste persone consiglio di seguire un motto di Gian Piero Alloisio spesso citato da uno dei loro idoli, Massimo Fini: "Io non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me".
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