Siamo soliti considerare l’informatica e la Rete come degli sviluppi tecnologici che possono dare una grossa mano alla battaglia ambientalista: per quanto il processo di costruzione di un computer non sia esattamente ‘pulito’ (al contrario è molto oneroso per l’ambiente), non si può tuttavia mettere in dubbio che la digitalizzazione dei contenuti e il loro trasferimento in tutto il mondo con qualche click di mouse, ad esempio, consenta di risparmiare carta, imballaggi, trasporti e molti altri processi altamente inquinanti; lo stesso vale per strumenti come chat e teleconferenza, che permettono di annullare le distanze senza doverle coprire fisicamente.
Adesso però Greenpeace ci avvisa che non è tutto oro quel che luccica, e che un certo modo di gestire la Rete può addirittura danneggiare l’ambiente, ad opera di internauti inconsapevoli alla stessa maniera di chi, consumando una barretta di Kit-Kat, non sa di favorire il massacro degli oranghi e della foresta pluviale. Ma com’è possibile, dal momento che dal computer e dal monitor non escono emissioni di alcun genere?
“All'attuale tasso di crescita stimiamo che i data center e le reti di telecomunicazione consumeranno quasi duemila miliardi di kilowattora di elettricità nel 2020. È oltre il triplo del loro consumo attuale e più del consumo elettrico di Francia, Germania, Canada e Brasile messi insieme”. Sotto accusa in particolare sono I-Pad di Apple e il social network Facebook, i cui giganteschi server saranno probabilmente alimentati da centrali a carbone per fronteggiare la smisurata impennata energetica. Tutto ciò dovrebbe non solo portare alla promozione di campagne di opinione affinché le grandi aziende della galassia di Internet si convertano alle energie rinnovabili, ma far riflettere sul modo in cui viene gestita e impiegata oggi la Rete.
Una decina di anni fa in molti temevano che il massiccio ingresso di contenuti video e multimediali attraverso il Web (favorito dai grandi colossi dell’informazione e dell’entertainment) avrebbe alterato il carattere paritario della Rete, portando gradualmente a un modello broadcasting tipico dei mass-media come la televisione, dove gli utenti sono solo dei fruitori passivi; se tutto ciò non è successo, o solo molto parzialmente, il merito è del mondo hacker che non ha smesso di elaborare tecnologie che valorizzassero il ruolo attivo dell’internauta, e sono sorte così realtà encomiabili tipo Youtube poi diventate rapidamente business.
Ora però la Rete sembra soffrire di una sorta di gigantismo, non per il suo carattere globale che è anzi naturale, ma perché le grandi corporation come Apple la usano mezzo per la trasmissione di servizi sovradimensionati anche per il più esigente degli uomini di affari, miliardi e miliardi di bit che vanno a intasare un pianeta virtuale che, al pari di quello reale, ha capacità di smaltimento enorme ma non infinita. Che sia necessario forse pensare anche a una ‘decrescita’ della Rete? In ogni caso, dobbiamo salvaguardare questa risorsa preziosa prima che possa collassare o peggio ancora trasformarsi in un’altra delle armi di autodistruzione di massa create dallo sviluppo.
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